Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 22225-2007 proposto da: Lubrano Filippo, elettivamente domiciliato in Roma, viale Bruno Buozzi, 99, presso lo studio dell'avvocato Punzi Carmine, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Poli Roberto, Gabardini Alessandro, Malcovati Fabio, giusta mandato a margine del ricorso; ricorrenti; Contro A.S. Roma S.p.A. in persona dell'amministratore delegato dr.ssa Rosella Sensi, elettivamente domiciliata in Roma, via Michele Mercati, 51, presso lo studio dell'avvocato Briguglio Antonio, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati De Giovanni Gianroberto, Rolla Francesca, giusta procura speciale a margine della memoria difensiva; controricorrenti, avverso la sentenza n. 8431/2007 del Tribunale di Milano del 3 luglio 2007, depositata il 5 luglio 2007. Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24 settembre 2008 dal consigliere e relatore dott. Emilio Migliucci; Udito il P.G. in persona del sostituto procuratore generale dott. Antonio Martone che ha concluso per la competenza per territorio del Tribunale di Milano, con le conseguenze di legge. Rilevato che l'avv. Filippo Lubrano ha proposto regolamento necessario di competenza avverso la sentenza n. 8431 dep. il 5 luglio 2007 con cui il Tribunale di Milano, nel decidere l'opposizione proposta dalla soc. A.S. Roma S.p.A., dichiarava la propria incompetenza per territorio e la nullita' del decreto con cui era stato ingiunto all'opponente il pagamento in favore del ricorrente dei compensi chiesti per l'attivita' professionale dal medesimo svolta. Infatti, secondo il giudice di primo grado, competente a conoscere del ricorso per decreto ingiuntivo era il Tribunale di Roma, sul rilievo che nella specie trovavano applicazione le norme che regolano la competenza per territorio in materia di obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro che devono essere adempiute nel luogo ove il creditore ha la il domicilio al momento della scadenza: l'avv. Lubrano, al momento della richiesta di pagamento della parcella e quindi nell'anno 2000, era residente in Roma ed ivi aveva il domicilio, che si identifica nel luogo ove la persona ha la sede principale dei suoi affari, tenuto conto che il medesimo era iscritto all'ordine degli avvocati di Roma, al quale aveva chiesto inizialmente la liquidazione del compenso ed ancora in Roma aveva la sede la Banca presso cui dovevano affluire i pagamenti dei corrispettivi dovuti per l'attivita' professionale. Ha resistito l'intimata, depositando memoria ex art. 47 cod. proc. civ. Attivatasi procedura camerale ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ. secondo quanto previsto dall'art. 380-ter bis cod. proc. civ., il procuratore generale inviava richiesta scritta di accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 cod. proc. civ. O s s e r v a 1. - Con l'unico articolato motivo il ricorrente, denunciando violazione ed omessa appilcazione dell'art. 637, terzo comma cod. proc. civ., motivazione carente, illogica e contraddittoria, censura la decisione gravata che, nel dichiarare la propria incompetenza per territorio a favore del Tribunale di Roma, aveva fatto riferimento esclusivamente all'art. 1182, terzo comma cod. civ. senza neppure prendere in esame l'art. 637, terzo comma cod. proc. civ., in base al quale egli aveva agito con la richiesta di decreto ingiuntivo. Al riguardo - deduce ancora il ricorrente per il recupero attraverso il procedimento monitorio dei crediti relativi alle prestazioni contro i propri clienti, la norma citata prevede in favore degli avvocati un foro alternativo e concorrente con quelli di cui agli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ.: secondo 1'interpretazione letterale, teleologica, logica e sistematica della disposizione in esame assume rilevanza esclusiva il luogo ove ha sede il consiglio dell'ordine al quale e' iscritto il legale al momento in cui e presentata la domanda di ingiunzione. Rileva al riguardo il ricorrente che se, da un lato, l'art. 637, terzo comma cod. proc. civ. non fa alcun riferimento alla scadenza della prestazione, la norma, d'altro lato, ha inteso prevedere che il tribunale al quale ci si rivolge in via ingiuntiva sia lo stesso presso il quale ha sede il consiglio dell'ordine che ha espresso il parere di congruita' sulla parcella professionale in considerazione della presumibile conoscenza da parte di quel giudice dei criteri di valutazione normalmente seguiti dal consiglio dell'ordine locale, tenuto conto che competente ad emettere il parere e' soltanto il consiglio al quale il professionista e' iscritto al momento della richiesta. Pertanto, giudice competente era il Tribunale di Milano, essendo esso ricorrente iscritto al Consiglio dell'Ordine di Milano al momento della proposizione della domanda di ingiunzione; in via subordinata, si sarebbe comunque radicata la competenza del Tribunale di Milano, anche facendo riferimento alla previsione dell'art. 1182 cod. civ., tenuto conto che la scadenza dell'obbligazione di pagamento del compenso del legale si determina nel momento in cui essa si concretizza con la liquidazione compiuta con il parere di congruita': il ricorrente era iscritto al Consiglio dell'Ordine di Milano al momento della scadenza dell'obbligazione, atteso che l'obbligazione posta a base della domanda era quella liquidata dal Consiglio dell'Ordine di Milano nel 2005. 2. - La resistente ha eccepito in via preliminare l'inammissibilita' del regolamento di cui all'art. 42 cod. proc. civ. sul rilievo che il provvedimento impugnato non puo' qualificarsi come sentenza sulla competenza; ha, quindi, sostenuto la correttezza della decisione impugnata, osservando che l'art. 637, terzo comma cod. proc. civ. debba essere interpretato alla luce dei criteri di cui all'art. 20 cod. proc. civ.: il consiglio dell'ordine, al quale fa riferimento il citato art. 637, terzo comma, e' da individuare in quello al quale era iscritto il professionista al momento della scadenza dell'obbilgazione; d'altra parte, in considerazione della modifica legislativa operata dalla legge n. 526 del 1999 - osserva la resistente - si impone una interpretazione attuale o costituzionalmente orientata dell'art. 637, terzo comma, atteso che la sentenza n. 137 del 1975 della Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimita' della norma, aveva evidenziato che, secondo la normativa all'epoca vigente, gli avvocati avevano l'obbligo di fissare la residenza nella circoscrizione del tribunale nel cui albo erano iscritti. Ove non fosse stata ritenuta legittima l'interpretazione da essa propugnata, la resistente ha sollevato questione di illegittimita' costituzionale della citata norma per contrasto con gli art. 3 e 25 Cost., rilevando: 1) la disparita' di trattamento rispetto ad altre categorie di professionisti per l'ingiustificato privilegio attribuito agli avvocati che - per il recupero dei crediti professionali - potrebbero modificare senza particolari difficolta' il consiglio dell'ordine di appartenenza al solo fine di incardinare il giudizio contro i propri clienti presso un foro ritenuto piu' favorevole; 2) sarebbe rimessa al mero arbitrio dell'attore la scelta del giudice competente, in violazione del precetto costituzionale del giudice naturale, come appunto si era verificato nella specie. 3. - Preliminarmente, va rilevata l'ammissibilita' del regolamento necessario di competenza proposto ai sensi dell'art. 42 cod. proc. civ. La sentenza con la quale, come nella specie, il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo dichiari la nullita' del decreto opposto esclusivamente per incompetenza del giudice che lo ha emesso integra una statuizione sulla competenza e non una pronuncia sul merito, essendo la dichiarazione di nullita' non solo conseguente, ma anche necessaria rispetto alla declaratoria di incompetenza (Cass. 16193/2006; 8327/2002). 4. - Ai sensi dell'art. 637, terzo comma cod. proc. civ. «gli avvocati o i notai possono altresi' proporre domanda di ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell'ordine al quale sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono». La norma, in deroga ai criteri generali stabiliti in materia di competenza per territorio, prevede un foro concorrente e facoltativo a favore della categoria degli avvocati che agiscano con il ricorso monitorio per il recupero dei crediti professionali nei confronti dei propri clienti. Il Tribunale di Milano, nel dichiararsi incompetente in ordine alla domanda proposta dal ricorrente per il recupero dei crediti professionali, ha tenuto conto esclusivamente dei criteri previsti dall'art. 20 cod. proc. civ., senza minimamente considerare il foro stabilito dal terzo comma dell'art. 637 cod. proc. civ. Ed invero la norma citata, nel consentire gli avvocati di formulare la richiesta di decreto ingiuntivo anche al giudice del luogo in cui ha sede il consiglio dell'ordine presso il quale sono iscritti, non contiene alcun riferimento alla scadenza dell'obbligazione o in generale ai criteri indicati dagli art. 20 cod. proc. civ. e 1182 cod. civ.: in base al dato normativo, non solo sarebbe ingiustificato non identificare il consiglio dell'ordine, in relazione al quale si determina il giudice competente, in quello al quale il legale e' iscritto attualmente, cioe' con riferimento al momento della proposizione del ricorso, ma del tutto arbitrario sarebbe il ricorso a criteri di collegamento non previsti dal legislatore. I precedenti di legittimita' citati dalla resistente sono del tutto inconferenti, atteso che la sentenza n. 1320 del 1976 fa riferimento al giudice che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria e dunque al primo comma dell'art. 637 cod. proc. civ. mentre la decisione n. 571 del 1966 concerne una particolare fattispecie (attivita' iniziata da praticante procuratore che, divenuto procuratore, aveva cambiato l'albo di iscrizione). Del resto, l'interpretazione letterale del citato articolo trova conferma nella ratio ispiratrice della disposizione che e' evidentemente quella di agevolare il professionista, che sarebbe invece costretto a seguire le cause relative al recupero dei crediti professionali in luogo diverso (o addirittura in luoghi diversi) da quello in cui egli avesse attualmente stabilito l'organizzazione della propria attivita' professionale. 5. - Peraltro, l'interpretazione dell'art. 637, terzo comma sopra formulata pone dei dubbi di legittimita' costituzionale in relazione all'art. 3 Cost. A) La questione di legittimita' costituzionale della norma e' rilevante. Va considerato che nella specie, al momento in cui aveva proposto il ricorso per decreto ingiuntivo per il pagamento di crediti professionali, l'avv. Lubrano era iscritto al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Milano, mentre al momento in cui era cessata l'attivita' difensiva svolta in favore della resistente era iscritto al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma,e in quella citta' aveva la residenza e il domicilio. Pertanto, ai sensi dell'art. 637, terzo comma secondo l'interpretazione sopra formulata, la competenza per territorio si era radicata presso il Tribunale di Milano, che erroneamente si dichiarato incompetente: sono, dunque, da ritenere fondate le censure sollevate con il regolamento di competenza, che e' meritevole di accoglimento. B) La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 637, terzo comma citato non e' manifestamente infondata. Deve, in proposito, premettersi che con la sentenza n. 137 del 1975 la Corte costituzionale, nel ritenere infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma in esame, che era stata sollevata con rifacimento agli artt. 3 e 24 Cost., premetteva che il potere conferito agli avvocati dal1'art. 637, terzo comma cit. avrebbe potuto in astratto configurare una discriminazione soltanto nei confronti di una determinata categoria di cittadini, cioe' i clienti degli avvocati che verrebbero a trovarsi nella posizione di soggezione; sottolineava quindi la peculiarita' della posizione degli avvocati e procuratori rispetto a tutti gli altri prestatori d'opera intellettuale, in considerazione della particolare disciplina che regola l'accesso e le modalita' di svolgimento dell'attivita'; rilevava quindi che: «gli avvocati e procuratori, d'altra parte, debbono avere la residenza nella circoscrizione del tribunale nel cui albo degli avvocati sono iscritti, e nel capoluogo del circondano nel quale sono iscritti nell'albo dei procuratori, e onde far fronte ad un'esigenza ognora crescente, sono portati ad organizzare adeguatamente la loro attivita' di lavoro autonomo. E la scelta della sede, nella unitarieta' dei suoi effetti, non puo' rilevare in favore di chi legittimamente la compia». Orbene, secondo la normativa all'epoca in vigore, l'art. 17 della legge professionale forense di cui al regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, nel prescrivere i requisiti per 1'iscrizione all'albo, stabiliva al n. 7) che gli avvocati dovevano «avere la residenza nella circoscrizione del tribunale nel cui albo l'iscrizione e' domandata». Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente la Corte ritenne giustificata la previsione a favore degli avvocati di un foro speciale per il recupero dei crediti professionali, in deroga ai criteri generali di competenza, anche in considerazione dell'obbligo di fissare la residenza nella sede del consiglio dell'ordine in cui erano iscritti: tale considerazione non era stata affatto incidentale o marginale nella decisione che aveva portato la Corte a ritenere giustificata la posizione privilegiata attribuita agli avvocati, avendo i giudici delle leggi evidenziato che proprio nel luogo in cui avevano stabilito la residenza gli avvocati sono portati ad organizzare adeguatamente la propria attivita' professionale. Pertanto, la questione di costituzionalita' della norma si pone ora in termini affatto diversi rispetto a quelli esaminati dalla Corte costituzionale, atteso l'intervento del legislatore che ha al riguardo modificato la disciplina, dapprima con la norma di carattere generale dettata dall'art. 16 della legge comunitaria del 21 dicembre 1999, n. 526 («Obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee»), secondo cui per i cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, ai fini dell'iscrizione o del mantenimento dell'iscrizione in albi, elenchi registri il domicilio professionale e' equiparato alla residenza» e quindi con l'art. 18 della legge comunitaria 3 febbraio 2003, n. 14 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee) che ha modificato specificamente l'art. 17 del regio decreto n. l578 del 1933, aggiungendo alla parola «residenza» «o domicilio professionale». Secondo la disciplina vigente, dunque, 1'iscrizione all'albo e' svincolata dalla residenza, nel senso che l'avvocato puo' iscriversi a un consiglio dell'ordine con sede in un luogo in cui abbia fissato il domicilio professionale, pur avendo stabilito altrove la propria residenza. E, seppure il domicilio professionale rappresenta centro principale dell'attivita' professionale (art. 43 cod.civ.; cfr. parere del Consiglio nazionale forense del 27 ottobre 2000), non puo' non assumere rilievo la circostanza che esso - indipendentemente dall'obiettiva difficolta' di verificare dove il legale, il quale puo' aprire studi professionali in piu' sedi, svolga in prevalenza l'attivita' - puo' non coincidere con la residenza che e' data dalla abituale e volontaria dimora nel luogo in cui la persona, nell'esercizio del diritto garantito dall'art. 16 Cost., ha fissato la sede delle relazioni sociali e familiari e che e' oltretutto rivelata da elementi obiettivi e facilmente accertabili in base alle consuetudini di vita. Orbene, l'art. 637, terzo comma cod. proc. civ. era stato formulato sul presupposto che, secondo la normativa all'epoca vigente, l'avvocato aveva l'obbligo di stabilire la residenza nel luogo in cui aveva sede il consiglio dell'ordine al quale chiedeva di essere iscritto ma il venir meno di siffatto obbligo e la possibilita' di ottenere l'iscrizione all'albo fissando o trasferendo il domicilio professionale in luogo diverso da quello in cui il professionista abbia stabilito la residenza inducono a ritenere che sia venuta meno la gia' ricordata ratio ispiratrice dell'art. 637, terzo comma citato che, avendo la finalita' di agevolare il professionista per consentirgli di concentrare le cause nei confronti dei clienti nel luogo in cui aveva l'obbligo di fissare la sede principale dei propri interessi, aveva previsto - come si e' detto - un foro speciale con riferimento alla sede del consiglio al quale era iscritto l'avvocato. Ma, allora, la norma appare in contrasto con il principio di parita' di trattamento e ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto attribuisce una posizione privilegiata a una determinata categoria professionale rispetto agli altri cittadini e ad altre categorie professionali,non sussistendo oramai ragioni obiettive che possano giustificare tale scelta. Va, innanzitutto,considerato che l'ampiezza e l'incidenza della tutela giurisdizionale posta a favore degli avvocati avviene con discriminazione in danno dei loro clienti che si vedono convenuti presso un foro diverso da quello previsto in base agli ordinari criteri dettati per la generalita' dei consociati. Infatti la norma, nel consentire esclusivamente agli avvocati di agire per il recupero dei crediti professionali con domanda di ingiunzione proposta al giudice del luogo in cui ha sede il consiglio dell'ordine al quale sono iscritti al momento di proposizione della domanda, attribuisce esclusivamente agli avvocati il potere di scegliere un foro alternativo a quelli previsti in via generale dagli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ. E la soggezione a siffatto potere e' idonea a danneggiare i clienti, tanto piu' se si considera che - come si e detto - gli avvocati hanno la possibilita' di fissare o trasferire il domicilio professionale in un luogo diverso da quello in cui abbiano stabilito la residenza e di conseguire l'iscrizione a un consiglio dell'ordine diverso da quello al quale erano iscritti al momento in cui e' sorta o e' stata eseguita l'attivita' professionale. La norma, riservando una posizione di particolare favore esclusivamente agli avvocati, attua una disparita' di trattamento nei confronti di altre categorie professionali, apparendo arbitraria e irragionevole la scelta operata dal legislatore, atteso che la disciplina che regola l'accesso e le modalita' di svolgimento dell'attivita' degli avvocati non e' tale da giustificare il diverso trattamento riservato ad altre categorie professionali, per le quali non e' invece previsto il privilegio accordato dal citato art. 637, terzo comma. Va, in proposito, sottolineato che - non diversamente da quanto previste per gli avvocati - anche gli altri prestatori intellettuali che esercitano professioni protette si trovano sottoposti a particolari condizioni e modalita' stabilite per l'accesso e lo svolgimento dell'attivita', in quanto per esercitare la professione devono iscriversi all'albo professionale dopo avere conseguito l'abilitazione e sono sottoposti al controllo del consiglio del relativo ordine professionale. Pertanto, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 Cost., la questione di legittimita' costituzionale del terzo comma dell'art. 637 cod. proc. civ. nella parte in cui, stabilendo che gli avvocati possono altresi' proporre domanda di ingiunzione nei confronti dei propri clienti al giudice competente per valore del luogo in cui ha sede il consiglio dell'ordine degli avvocati al cui albo sono iscritti al momento di proposizione della domanda di ingiunzione, attribuisce esclusivamente agli avvocati la possibilita' di scegliere un foro facoltativo in alternativa a quelli di cui agli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ. Ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87 art. 23, alla dichiarazione di rilevanza nel giudizio e di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, segue la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.